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Nel caso di mala gestio, l'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

Ciò viene affermato della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 11223, pubblicata il 28 aprile 2021, che esamina la fattispecie di seguito descritta.

I due soci accomandanti di minoranza di una società di persone (s.a.s) hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale la società stessa e il socio accomandatario, chiedendo l'accertamento della responsabilità di quest'ultimo per aver posto in essere un'attività diretta al depauperamento patrimoniale e finanziario della società, distraendo denaro dalle casse sociali in favore di suoi familiari e di un’altra s.a.s. dello stesso socio convenuto, nonché per aver omesso di corrispondere agli attori gli utili e di rimborsare loro le spese di trasferta e viaggio, come pattuito con patti parasociali.

Gli attori hanno chiesto la condanna del socio convenuto al risarcimento del danno della somma di oltre 760mila euro. Si sono costituiti entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. La società convenuta ha anche chiesto in via riconvenzionale la condanna degli attori alla restituzione di una somma illegittimamente percepita a titolo di rimborso spese.

Sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, le domande degli attori sono state respinte. In particolare, la Corte territoriale ha osservato che l'azione concessa individualmente dall'art. 2395 cod. civ. ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati come conseguenza di atti dolosi o colposi degli amministratori di società, di natura perciò extracontrattuale, presuppone che i danni stessi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; di conseguenza, essa può trovare esplicazione solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l'azione degli amministratori.

A questo punto i due soci accomandanti di minoranza hanno impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione.

I ricorrenti sostengono che ben diversa è la condotta di non distribuire utili per incrementare il capitale netto della società con il proporzionale accrescimento delle quote dei soci, rispetto a quella di trasferire all'esterno una consistente somma di denaro e spogliare definitivamente la società del mandato, dell'avviamento e del portafoglio, azzerando il valore netto del capitale e delle quote detenute dai soci. La tesi dei ricorrenti è che il giudice a quo non si sarebbe accorto che essi avevano azionato in giudizio non già l'interesse alla conservazione del patrimonio sociale, bensì il diverso diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla mala gestio del socio accomandatario convenuto.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame respinge le censure sollevate dai ricorrenti, dichiarando inammissibile il ricorso presentato.

Secondo la Suprema Corte, infatti, la Corte d'appello ha correttamente fatto applicazione dell'art. 2395 cod. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza e ritenuto analogicamente estensibile anche alle società di persone, qual è la società in accomandita semplice.

Dopo un excursus giurisprudenziale, la Corte ricorda la sentenza di legittimità della prima sezione (n. 1261 del 25 gennaio 2016), nella quale è stata introdotta una distinzione, affermando che nelle società di persone, se l'amministratore non presenta il rendiconto, il socio - diversamente da quanto accade nelle società di capitali, ove occorre una delibera assembleare che ne autorizzi la distribuzione - non percepisce gli utili, subendo così, in via diretta ed immediata, un danno che, come tale, può invocare agendo per far valere la responsabilità extracontrattuale dell'organo amministrativo, ai sensi dell'art. 2395 cod.civ., ivi applicabile analogicamente, atteso che la società personale, ancorché priva di autonoma personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, sicché, anche con riguardo ad essa, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, alla stregua di quanto previsto in materia di società per azioni.

L'arresto citato ha sottolineato l'evidente diversità di disciplina tra le due categorie di società: nelle società di persone, l'art. 2262 cod. civ. prevede che ciascun socio, dopo l'approvazione del rendiconto, ha diritto alla divisione ed alla distribuzione degli utili, mentre nelle società di capitali occorre la previa deliberazione assembleare ex art. 2433 cod. civ., che, preso atto della sussistenza di utili nel bilancio, ne autorizzi la distribuzione.

Ne consegue che il diritto agli utili per il socio di società personale è subordinato alla sola approvazione del rendiconto, e quindi coerentemente la lesione di detto diritto può essere fatta valere dal socio come danno diretto ed immediato, proprio in quanto conseguente al mancato assolvimento da parte del socio amministratore dello specifico obbligo di distribuzione degli utili, ovviamente ove sussistenti. Anche la citata pronuncia ha comunque ribadito la diversità delle conclusioni nel caso in cui il socio fa valere in giudizio la mancata percezione degli utili come derivante da diversi comportamenti di gestione tenuti dall'amministratore, dato che in tali ipotesi il danno lamentato viene a configurarsi quale conseguenza del danno arrecato alla società e solo in seconda e indiretta battuta patito dal socio.

Occorre quindi conformarsi al principio generale secondo cui l'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore (Cass. sez. 3, n. 4548 del 22 marzo 2012).

 

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